La folla rimasta indietro comincia a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada, ma senza disperdersi del tutto: gruppetti di persone continuano a formarsi lungo le vie. Per le strade, la gente ciarla sui fatti della giornata e si accorda per il giorno successivo. Renzo si avvicina ad un gruppo e tiene un piccolo "comizio" illustrando il suo pensiero sulla giustizia sociale, memore dell’esperienza sulle grida che aveva avuto con il dottor Azzeccagarbugli. Così nel suo comizio, i suoi fatti personali si mescolano a considerazioni per così dire politiche. Alcuni dei presenti lo applaudono altri lo criticano; poi il gruppetto si scioglie. Il giovane montanaro dove può trovare un'osteria per poter mangiare e riposarsi, uno sconosciuto si offre di accompagnarlo. Renzo apprezza la gentilezza, ma nonostante le proteste dello sconosciuto accompagnatore, che vorrebbe portarlo altrove, Renzo decide di fermarsi all'Osteria della Luna Piena. Così Renzo e il suo accompagnatore entrano nella locanda. Molta gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola stretta e lunga: a intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anche correre berlinghe, reali e parpagliole, che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: «noi eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle tasche di qualche spettatore del tumulto, che tutt'intento a vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole private». C’era molto chiasso e fumo. L'oste, pur senza farsene accorgere, riconosce nello sconosciuto accompagnatore di Renzo una spia della polizia. Renzo e il suo accompagnatore siedono ad un tavolo, tra giocatori di carte e bevitori, e ordinano un fiasco di vino che viene rapidamente svuotato. Il giovane esibisce uno dei pani rinvenuti per terra durante la mattinata e per questo egli viene ritenuto dai presenti uno degli assalitori del forno. Renzo, alterato dal vino, si rifiuta di fornire all'oste le proprie generalità per la registrazione degli ospiti della locanda. L’oste gli mostra una grida, ma Renzo si irrita e critica la grida e si riempie un altro bicchiere di vino. Il giovane, parlando ad alta voce, comincia così un nuovo discorso contro la scrittura e contro l'amministrazione della giustizia. Alla fine, sostenuto dal consenso degli altri avventori, riesce ad evitare la registrazione. Ma l'informatore della polizia, che si spaccia per uno spadaio dalle idee di giustizia, riesce, con un espediente, a far dire a Renzo il proprio nome. A quel punto raggiunto il suo scopo, l'uomo saluta il giovane montanaro e si allontana rapidamente, mentre Renzo, sempre più ubriaco, continua ad a far discorsi ai presenti senza accorgesi di essere diventato uno zimbello. Renzo si addormenta ubriaco .